Missione terminata per telescopio spaziale Herschel, energia esaurita


Ha resistito anche oltre le più rosee aspettative, ma alla fine, anche l’ultima goccia dei 2300 litri di elio superfluido, il refrigerante indispensabile per tenere in piena efficienza i sensibilissimi strumenti di bordo di cui era stato rifornito, è evaporata. Rendendo praticamente ‘cieco’ l’osservatorio spaziale Herschel dell’ESA, che termina così in maniera definitiva la sua attività scientifica. 

Un’attività che ha visto quasi quasi quattro anni di osservazioni praticamente ininterrotte del cielo nella banda della radiazione infrarossa e submillimetrica, superando le 22.000 ore complessive di osservazioni, ovvero più del 10 per cento di quanto inizialmente programmato. Questo inaspettato traguardo è solo un altro dei successi della missione che è divenuta una pietra miliare dell’astrofisica del secondo millennio, indagando in modo decisivo i processi di formazione stellare, mappando le dense e fredde nubi di materia al centro della nostra Galassia, o spingendo lo sguardo all’interno di giovani sistemi planetari e stellari, per scoprire in essi abbondanti quantità di acqua. 

Ma l’elenco sarebbe assai più lungo. Successi in cui l’Italia ha avuto un ruolo determinante: attraverso un supporto importante dell’ASI, Agenzia Spaziale Italiana, il nostro Paese ha partecipato alla costruzione di tutti e tre gli strumenti a bordo della missione, fornendo contributi tecnologici d’avanguardia che hanno visto coinvolti alcuni istituti di ricerca dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e due tra le industrie italiane aerospaziali più importanti, la Carlo Gavazzi Space S.p.A. (ora Compagnia Generale dello Spazio), e la Galieleo Avionica (ora Selex Galileo S.p.A.). 

“L’alto livello scientifico e tecnologico del contributo italiano alla missione è basato sull’esperienza maturata nella partecipazione a precedenti missioni spaziali per l’astronomia infrarossa, esperienza poi continuamente arricchita con l’impegno quotidiano che ricercatori e tecnici hanno dedicato a Herschel” dice Elisabetta Tommasi, dell’Unità Osservazione dell’Universo dell’Agenzia Spaziale Italiana. “L’ASI ha seguito e supportato costantemente questo cammino, che ha portato alla costituzione di un grande ‘capitale’ da mantenere e potenziare in prospettiva futura”. 

Anche l’INAF ha fornito il suo fondamentale contributo con l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) di Roma che ha fornito i sistemi software di controllo dei tre strumenti di bordo, mentre l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri e l’Osservatorio Astronomico di Trieste insieme al dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova hanno collaborato fornendo personale altamente qualificato per i centri di controllo degli strumenti, che hanno seguito la missione sin dalle prime fasi di assemblaggio a Terra fino agli ultimi giorni di operazione, contribuendo all’aggiornamento e miglioramento continuo delle procedure di calibrazione. 


“La comunità italiana ha partecipato con entusiasmo alla missione, contribuendo significativamente sia alla realizzazione degli strumenti che alla definizione e all’analisi scientifica dei più importanti programmi osservativi” ricorda Anna Maria di Giorgio, dell’INAF-IAPS, responsabile delle attività scientifiche italiane per la missione Herschel. “È quindi con grande emozione che abbiamo accolto la notizia dell’esaurimento della riserva di elio a bordo e della conclusione della fase operativa. Oggi si chiude un pezzo importante della nostra vita – intendo quella di tutti noi che abbiamo lavorato per oltre 15 anni alla missione e ai suoi Key project scientifici. Ma c’è ancora così tanto da fare per lo sfruttamento dei dati che non possiamo permetterci di sederci sugli allori!”

L’eredità che ha lasciato Herschel alla comunità astrofisica internazionale è davvero sterminata, fatta di terabyte e terabyte di dati ancora in parte da analizzare e da cui potranno arrivare risultati importantissimi per conoscere meglio come ‘funziona’ il nostro universo. Ed è già grazie alle osservazioni di Herschel se è stata scoperta l’esistenza di onnipresenti strutture filamentari nelle regioni di formazione stellare contenute all’interno delle grandi nubi molecolari della nostra galassia, esplorate con una risoluzione spaziale senza precedenti. 

I filamenti osservati svolgono un ruolo chiave nel processo di formazione delle stelle. Le bellissime immagini di Herschel, così ricche di dettagli, mostrano come alcune nubi abbiano sviluppato filamenti così densi che stanno collassando sotto l’effetto della loro stessa gravità e aprono di fatto un nuovo capitolo sulla comprensione dei meccanismi della formazione stellare galattica. Lo studio spettroscopico nell’infrarosso con Herschel dei sistemi stellari in formazione ha, poi, permesso di osservare per la prima volta strutture ancora in fase di contrazione gravitazionale. 

Herschel ha rivelato in alcune di esse una quantità di vapor d’acqua sufficiente a riempire più di 2000 volte tutti gli oceani della Terra. Questa scoperta è stata ottenuta all’interno di un’altro dei grandi progetti scientifici della missione, quello di seguire le tracce della presenza di acqua, una molecola cruciale per la vita, a partire dalle nubi di formazione stellare sino alla sua osservazione nei dischi protoplanetari che circondano le stelle appena formate. Ma l’alta sensibilità degli strumenti a bordo di Herschel ha permesso anche di osservare la formazione di stelle nelle altre galassie, partendo da quelle vicine, come Andromeda, fino a galassie situate a miliardi di anni luce lontano da noi. 

Si è scoperto che molte tra quelle più distanti, più di 10 miliardi di anni luce, hanno un tasso di formazione stellare elevatissimo, producendo centinaia di migliaia di stelle all’anno. Cosa ne sarà adesso di Herschel? L’osservatorio spaziale continuerà le comunicazioni con la Terra per qualche tempo, permettendo agli ingegneri dell’ESA di condurre tutta una serie di test tecnici soltanto alla fine dei quali verrà spedito verso una orbita stabile ‘di parcheggio’ intorno al Sole, simile a quella di un asteroide o di una cometa.


Fonte: INAF
Foto credit: ESA – C. Carreau

Nessun commento:

Posta un commento