Medicina, iniezione di staminali neurali potrà riparare danni da ictus


Potrebbe essere nelle staminali il futuro della neuromedicina. I ricercatori dell’Ospedale San Raffaele hanno mostrato come e perché il trapianto di cellule staminali neurali riduce la morte dei neuroni e migliora la plasticità cerebrale. In caso di danno cerebrale dovuto a ictus, il trapianto di cellule staminali neurali potrebbe offrire in futuro una strategia per migliorare e accelerare il recupero delle funzioni cerebrali compromesse. Il meccanismo dietro l’effetto terapeutico di queste cellule è stato svelato da un gruppo di ricercatori dell’Unità di Neuroimmunologia dell’Irccs Ospedale San Raffaele, una delle 18 strutture di eccellenza del Gruppo ospedaliero San Donato.

La ricerca, appena pubblicata su Journal of Neuroscience, dimostra in modelli murini come le cellule staminali neurali, somministrate tramite un’iniezione nel sangue, siano capaci di raggiungere l’area del cervello danneggiata e di produrre una proteina chiamata “fattore di crescita dell’endotelio vascolare” (VEGF). Questa proteina accelera i processi naturali di contenimento degli effetti neurotossici dell’ictus e promuove la plasticità cerebrale, grazie alla quale le aree sane circostanti si adattano per supplire alle funzioni perse. La scoperta del meccanismo molecolare con cui queste cellule aiutano il cervello a recuperare la sua funzionalità, anche se per ora limitata al modello sperimentale della malattia, apre nuovi scenari per lo studio del trapianto di cellule staminali neurali non solo nel trattamento dell’ictus, ma anche in altri disturbi neurologici.

I ricercatori dell’Unità di Neuroimmunologia, coordinati da Gianvito Martino, Direttore Scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore dell’Università Vita-Salute San Raffaele, avevano già mostrato in precedenza che in caso di ictus il trapianto di cellule staminali neurali migliora il recupero della funzionalità cerebrale. Il meccanismo responsabile dell’effetto, però, non era ancora noto. «Le cellule staminali neurali si sono evolute per reagire in modo adattivo ai bisogni dell’organismo, ovvero al microambiente con cui entrano in contatto. A seconda del tipo di malattia neurologica, e quindi del tipo di danno presente nel tessuto, le cellule staminali neurali entrano in azione in modo diverso, un meccanismo definito in gergo plasticità terapeutica», spiega Gianvito Martino. 

Oggi sappiamo ad esempio che nel caso dei modelli sperimentali di Parkinson le cellule staminali trapiantate si differenziano in neuroni e sostituiscono quelli danneggiati dalla malattia, mentre in altre situazioni – come ad esempio nei modelli di sclerosi multipla – rimangono indifferenziate e producono delle sostanze che proteggono il tessuto cerebrale dal danno. La nuova ricerca dimostra come nell’ictus cerebrale le cellule staminali neurali raggiungano il sito della lesione e, senza differenziarsi in neuroni, inizino a produrre la proteina VEGF. Gli autori hanno scoperto che questa proteina svolge un compito finora sconosciuto: regolare l’attività degli astrociti – cellule a forma di stella che supportano i neuroni e il cui funzionamento dopo ictus risulta compromesso – e aiutarli ad eliminare il glutammato, un neurotrasmettitore che, in eccesso, risulta tossico. 

L’effetto complessivo consiste nella riduzione della morte neuronale, nell’aumento della plasticità cerebrale e nella diminuzione della disabilità. L’azione delle cellule staminali trapiantate è legata anche alla tempistica di azione. A seguito di un ictus, infatti, per un periodo limitato l’area cerebrale intorno alla parte colpita dall’ischemia mostra plasticità maggiore rispetto alle condizioni naturali. È in questa finestra temporale, durante la quale l’organismo attiva in modo naturale dei meccanismi di risposta, che il trapianto è maggiormente efficace nel favorire i processi riparativi propri del cervello. La ricerca è stata sostenuta dai finanziamenti dell’Unione Europea (TargetBrain e NEUROKINE network) e del Ministero della Salute. Studio pubblicato su Journal of Neuroscience – 12 ottobre 2016, http://dx.doi.org/10.1523/JNEUROSCI.1643-16.2016




Fonte: HSR Press

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