I Peanuts compiono sessant'anni. Il 2 ottobre 1950 debuttano negli Usa le strisce di Charles M. Schulz e subito il mondo si innamora di quei personaggi così dolci e così disincantati. Cliccando "Peanuts" o "Schulz" o "Charlie Brown" o "Linus", il Web restituisce una quantità enorme di materiale critico, rievocativo, archivistico, promozionale, devozionale. Sono sopravvissuti felicemente al loro autore, come capita solo ai classici, e circolano per il mondo in mille forme. Si va dalla critica super-colta al fan club, dall'analisi letteraria, psicologica, al culto "pop" più affettuoso e sfrenato.
Una delle più evidenti qualità dei Peanuts è stata consegnare a un gruppo di bambini il carico di dubbi, fatiche, smarrimento di una classe media inquieta che cominciava a maneggiare il benessere, in quelle casette linde e tra quelle staccionate bianche. Schulz è ricorso a una specie di "trucco" anagrafico: i suoi ragazzini pensano e parlano già come adolescenti, ma vengono disegnati come bambini. Chiunque abbia letto i Peanuts o li legga, ne coglie la malinconia (non fanno "ridere", fanno sorridere, pensare, intenerire) ma è soprattutto ammirato dall'infinita, rara leggerezza.
È quella delicatezza, un dono artistico che proprio con il trascorrere dei decenni rende grandissimi i bambini di Schulz. La libertà del cortile, del gioco, dell'infanzia, del non sapere ancora chi si è, chi si diventerà. Per questo Linus e Lucy van Pelt, Charlie e Sally Brown and c. sono diventati un successo dai numeri incredibili: duemila quotidiani, 335 milioni di lettori in settantacinque paesi. I Peanuts sono irriducibili: hanno visto il mondo attorno a loro crollare e ricrearsi, le guerre succedersi, ma sono ancora lì, pronti a calciare il pallone e far volare l'aquilone.
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