Secondo una ricerca dell'Università californiana di Berkeley, Google Inc (23,6 miliardi di dollari di fatturato nel 2009) è in grado di controllare e tracciare i movimenti di chi usa Internet sul 88,4 per cento della rete. Direttamente, attraverso i suoi siti cult, come il motore di ricerca, il servizio di posta elettronica (gmail.com), Youtube, Google Maps, Picasa. Ma anche indirettamente, grazie a quei software gratuiti usati da milioni di bloggers, gestori di siti e aziende.
Ad esempio Google Analytics - l'applicazione che permette di conteggiare il traffico di un portale - o AdSense, il servizio di inserzioni pubblicitarie. Risultato: il database di Google è il più vasto oggi esistente, e anche quello che contiene il maggior numero di informazioni su un utente unico. L'azienda di Mountain View, la società con la migliore reputazione al mondo secondo la rivista americana Forbes, non ci sta a essere considerata la versione finora più compiuta del Grande Fratello orwelliano.
"Noi non spiamo nessuno - dice Marco Pancini, European Senior Counsellor di Google - è vero che registriamo la navigazione degli utenti per creare un elenco personalizzato di categorie di interesse, ma tutto avviene in maniera anonima. I profili sono associati a un codice numerico, mai a un nome e un cognome, come indichiamo nella sezione "privacy" del nostro sito. Volendo poi si può decidere di disattivare il tracciamento, facendo il cosiddetto opt-out. E ci sono software scaricabili che bloccano la profilazione".
Tutto ciò però rimane a carico dell'utente, e chi non è esperto difficilmente si cimenta in queste operazioni. "Chiunque voglia trattare dati personali e dati sensibili - spiega l'avvocato milanese Gianluca Gilardi su Repubblica.it, specializzato in relazioni industriali e privacy - ha l'obbligo di chiedere l'autorizzazione all'utente, specificando anche lo scopo del trattamento. Google non lo fa".
Non solo. Sfugge alla nostra giurisdizione: "L'azienda è in California, risponde alle leggi americane. Non può dirci dove sono fisicamente i database. Non lo sanno neanche loro. I nostri profili sono polverizzati su 450 mila server sparsi in tutto il mondo. Ora magari sono a Singapore, tra un minuto saranno in Russia". Sempre e comunque nelle mani di Google.
Fonte: La Repubblica
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