La pressione della materia oscura? È nulla. È quanto dimostra uno studio in fase di pubblicazione su Astrophysical Journal. Prima autrice l’astrofisica Barbara Sartoris, dell’Università degli Studi di Trieste. Allo studio hanno preso parte numerosi astrofisici triestini, sia del dipartimento di fisica dell’università che dell’osservatorio astronomico, tra i quali Andrea Biviano, astrofisico dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste.
L’articolo è frutto dell’incontro, quasi fortuito, tra le specializzazioni della Sartoris e di Biviano. Il risultato avrà importanti conseguenze, anche concettuali, sulla conoscenza di questa forma di materia. Infatti, che la materia oscura fosse priva di pressione era stato finora semplicemente assunto senza alcuna prova diretta basata su osservazioni.
La materia oscura è un elemento fondamentale della nostra attuale comprensione dell’universo, basti pensare che contribuisce a più di un quarto di tutta la densità dell’universo a fronte di un qualche percento della materia ordinaria, quella che possiamo osservare direttamente con i telescopi e quella di cui noi e il mondo che abitiamo siamo fatti. A seconda della pressione che essa esercita, sia i tempi che i modi dell’evoluzione della struttura a grande scala che osserviamo nell’universo possono variare drasticamente.
L’idea alla base del lavoro è stata quella di sfruttare il diverso comportamento di luce e galassie quando si muovono in prossimità di una grande concentrazione di materia, sia oscura che ordinaria. La teoria della relatività prevede infatti che la materia oscura, a seconda della sua pressione, influenzi in modo differente il movimento piuttosto lento delle galassie in orbita in un campo gravitazionale e le traiettorie della luce che invece lo attraversano alla massima velocità possibile.
Per ricavare il valore della pressione gli autori dello studio hanno confrontato i dati delle orbite delle galassie con quelli dei percorsi della luce ricostruiti dalle osservazioni grazie all’ effetto, anch’esso relativistico, di lente gravitazionale. La grande concentrazione di massa che ha permesso la misura è l’ammasso di galassie MACS 1206.2-0847 che fa parte del campione studiato dal progetto internazionale CLASH VLT.
L’ammasso è distante, la sua luce ci raggiunge dopo un viaggio di oltre quattro miliardi e mezzo di anni luce, e in quanto a massa non scherza: è l’equivalente di migliaia di migliaia di miliardi di soli. Più che a sufficienza per far deviare la luce dal suo percorso rettilineo e per far orbitare le galassie attorno al (bari)centro ad una velocità lontana da quella della luce ma ben misurabile.
Per Stefano Borgani, Direttore dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste, “con questo lavoro abbiamo soltanto grattato la superficie: una volta disponibili tutti i dati del progetto CLASH VLT, di ammassi di galassie con questa qualità di dati osservativi ne avremo ben 12. Questo ci permetterà senz’altro di gettare nuova luce sulla natura della materia oscura”.
Fonte: INAF
Nessun commento:
Posta un commento