Girano in Rete e su Facebook notizie relative alle possibili cause che avrebbero provocato (direttamente o indirettamente) il distruttivo terremoto in Emilia Romagna. Per alcuni il motivo sarebbe d'attribuire ad un maxi deposito di gas nella zona del sisma legato alla pratica del cosiddetto fracking che, come leggiamo su Wikipedia, consiste "nello sfruttamento della pressione di un fluido, in genere acqua, per creare e poi propagare una frattura in uno strato roccioso".
La fratturazione, detta in inglese frack job (o frac job), viene iniziata da una trivellazione eseguita in una formazione di rocce petrolifere, per aumentare l’estrazione e il tasso di recupero del petrolio e del gas naturale contenuti nel giacimento. Il primo uso di questa tecnologia per la stimolazione di giacimenti petroliferi avvenne negli Usa nel 1947. E tra gli articoli più gettonati in Rete (ma non solo) vi è quello pubblicato su Savona News, e ripubblicato da vari blog o post su Facebook.
"Nessun giornalista ha ancora parlato di Fracking e Shale gas. Nessuno che renda conto agli italiani che da inizio anno sono stati 632 i terremoti in Italia - si legge nei post - e gli ultimi tutti in Nord Italia proprio nelle zone vocate a Shale gas interessate alla pratica del Fracking. La tecnica è relativamente nuova, ma si hanno già dati a sufficienza per capire di quanto possa essere deleteria.
Il fracking consiste, fondamentalmente, in perforazioni idrauliche le quali una volta arrivate in profondità piegano e corrono parallelamente al terreno; nei buchi creati, viene pompato ad alta pressione un pò di tutto, a seconda della 'ricetta' del perforatore, che, essendo segreto commerciale, non si può sapere.
Nonostante ciò, si è venuti lo stesso a conoscenza dell'elenco degli elementi delle sostanze iniettate insieme all'acqua (almeno quattro milioni di litri per pozzo) e alla CO2 ed è impressionante: un elenco di sostanze pericolose da smaltire, normalmente in maniera rigorosissima, che in questo caso sono iniettate a fiumi nel suolo.
Tutta roba che finisce nelle falde sottostanti, mentre nelle case vicine ai giacimenti può capitare che esca il gas dal rubinetto dell'acqua e molto altro si liberi in atmosfera. Tutte sostanze che rimangono alla collettività insieme all'acqua contaminata una volta che le compagnie avranno chiuso i pozzi e raccolto i profitti. Per non parlare delle voragini nel sottosuolo e della loro influenza sull'assetto idrogeologico e dei piccoli terremoti causati dal fracking. (da www.savonanews.it)"
In realtà, come spiega Marco Mucciarelli, docente di sismologia e geofisica applicata dell’Università della Basilicata, in un articolo su Corriere Nazionale: "Lo stoccaggio di gas come possibile causa del terremoto? È una bufala. All’origine c’è una faglia attiva di cui si era a conoscenza da tempo. E anche se i terremoti non si possono prevedere, sarebbe servita più prevenzione".
Non c’è alcuna relazione, insomma, tra il cosiddetto fracking e le scosse: "Per un semplice motivo - spiega Mucciarelli -: in Italia non ci sono operazioni di fracking attive che, come per le concessioni minerarie, devono essere registrate al Ministero dello Sviluppo Economico. Inoltre ad indurre terremoti non è tanto la pratica del fracking quanto la reiniezione delle acque reflue mischiate a solventi che vengono utilizzate per la fratturazione delle rocce".
Mucciarelli, che è stato anche consulente del comitato scientifico incaricato di valutare per conto della Provincia di Modena la fattibilità di attività di stoccaggio gas nell’area colpita dal sisma aggiunge poi al giornale che "nella zona ci sono comitati di cittadini molto vivaci ed attenti che si battono contro la realizzazione di un impianto di stoccaggio gas e la Regione Emilia Romagna ha dato parere negativo con una delibera anche pochi giorni fa".
Smascherata la "bufala" rimangono però gli interrogativi sulle cause del terremoto: "È avvenuto su una faglia attiva, classificata come ITIS07 dall’Ingv, che si conosceva da tempo - sottolinea il sismologo - e che fa parte del processo di avvicinamento delle Alpi agli Appennini. La faglia era nota come potenzialmente in grado di scatenare un sisma di magnitudo 5.9 secondo uno studio effettuato nel 2003 e pubblicato sugli Annali di Geofisica nell’ottobre dello stesso anno (...)".
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