L’Italia ha rinunciato per i prossimi trent’anni all’energia elettrica di fonte nucleare. Il popolo italiano si è espresso contro il nucleare (94,1% di sì contro il 5,9% di no), segnando una svolta nelle politiche energetiche del nostro Paese. Ieri in Borsa, accertato che il quorum c’era, i titoli delle aziende del settore delle energie rinnovabili sono balzati in alto. Kerself, ErgyCapital e K.R. Energy hanno guadagnato dal 14 al 15%. Enel ha perduto lo 0,13%. Enel Green Power, la controllata delle rinnovabili, ha guadagnato l’1,67%. In generale, sono andate male le grandi società del settore elettrico.
D'altronde, il nucleare sarebbe stato un grande affare per pochi colossi; le rinnovabili sono un business per le piccole società. Il futuro energetico del paese da adesso in poi è legato alle fonti rinnovabili: solare termico, solare fotovoltaico, idroelettrico, eolico, biomassa, geotermico. Una transizione che per la maggioranza degli addetti ai lavori si potrà compiere con relativa tranquillità, senza l’angoscia di dover stare al buio. Come sottolinea Roberto Giovannini su La Stampa: "nella migliore delle ipotesi il nucleare italiano cancellato dal referendum avrebbe potuto cominciare a dare un contributo significativo intorno al 2020-25".
Osservando i dati ufficiali di Terna l’Italia non ha un particolare bisogno immediato di energia elettrica. Nel 2010 l'Italia dispone di una potenza installata - la capacità di generare elettricità in un dato istante - di 110,8 GW. La punta massima storica di potenza richiesta (estate 2007) fu di 56,8 GW. Una potenza adeguata per sostenere consumi anch’essi stazionari, a quota 338 GWh sempre nel 2010, assicurati per il 64,8% da fonti tradizionali (45,4% gas, 11,2 dal carbone), per il 22,2% dalle rinnovabili, per il 13% dalle importazioni.
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